C’è un sentimento maschilista comune in tutte le società, ben radicato anche nella nostra cultura, che vuole le donne come parti di un sistema di proprietà dell’uomo, che le pone, pertanto, in uno stato di sudditanza, in una posizione minoritaria, anche culturale, rispetto all’uomo. …
… Bisogna far emergere l’esigenza di coniugare il diritto a non essere sfruttate e il cambiamento in termini culturali e politici per contribuire a superare quella cultura maschilista, spesso presente – nolenti o volenti – anche all’interno di contingenti femminili. In termini culturali perché continua a prevalere, soprattutto nel linguaggio comune, quando si definiscono identità, ruoli e responsabilità sociali, diritti e doveri, che riguardano le donne. Il linguaggio, come veicolo culturale, può forgiare la realtà se usato per cambiare un modello distorto, al contrario può essere pericoloso se usato, come è stato detto, “chirurgicamente” per arginare un cambiamento. In termini politici perché la Politica (con la “P” maiuscola) è cultura, orientamento e guida, attraverso le scelte che promuove sia in ambito normativo che di indirizzo per un Paese, verso il cambiamento inclusivo e pertanto verso l’attivazione di traiettorie storiche che riguardano il futuro di tutti e di tutte. La Politica può e deve dare pieno riconoscimento alla giustizia sociale e ai diritti umani e proteggerli mediante servizi sociali pertinenti e in grado di svolgere nel tempo la loro azione di risposta, di alleggerimento delle sofferenze e mirando instancabilmente alla loro eliminazione. E deve
riconoscere, dandone attuazione, la piena dignità e pari opportunità, nonché parità di trattamento professionale tra uomo-donna.
Dal Rapporto “Donne gravemente sfruttale. Il diritto di essere protagoniste” 2022