Questa mattina c’è stata la presentazione del II Rapporto “Donne gravemente sfruttate. Il diritto di essere protagoniste” ad Europa Experience David Sassoli.

Di seguito la presentazione scritta dal Presidente dell’Associazione Pino Gulia

L’Associazione Slaves No More con il Rapporto 2024, Donne gravemente sfruttate – Il diritto di essere protagoniste, vuole dare continuità a quella ricerca che, già con il primo pubblicato nel novembre del 2022 (dallo stesso Editore) ha inteso dare luce a gravi fenomeni sociali che colpiscono ampie fasce femminili cui è negato il diritto di essere soggettivamente e collettivamente protagoniste. Si tratta, secondo le stime, di oltre due milioni di donne, di origine immigrata e italiana.
Grazie, anche questa volta, all’apporto generoso di esperte ed esperti in ambito giuridico, sociologico, storico, teologico, giornalistico, che hanno messo a disposizione i loro saperi e le loro analisi, vogliamo tenere alta, nel nostro piccolo, in Italia e in Europa, l’attenzione sul tema dello sfruttamento e del grave sfruttamento femminile.
Il Rapporto che presentiamo ospita anche contributi, volutamente lasciati in lingua inglese, di esperte di alcuni paesi europei: un passaggio ulteriore per cominciare a imprimere quel volto europeo, e sperabilmente internazionale, che potrebbe assumere, nel tempo, il percorso di ricerca intrapreso.
Il Rapporto 2024 amplia i contesti in cui si manifestano e si consumano le forme di sfruttamento sessuale e lavorativo e, oltre gli ambiti dell’agricoltura, del lavoro domestico, questa volta vengono analizzati anche i settori del turismo e della logistica. E il fatto che la problematica venga individuata anche in altri mondi produttivi non può che allarmare ulteriormente, perché indica che il fenomeno è ben più ampio e sottovalutato di quanto comunamente si pensi. È su questa ampiezza e in questa complessità che vogliamo contribuire a focalizzare l’attenzione, facendo emergere le elaborazioni che trovano fondamento concreto nell’azione quotidiana di tutte quelle organizzazioni che operano a vario titolo nella lotta allo sfruttamento e al grave sfruttamento. Obiettivo è incrementare la “coscienza sociale e istituzionale” per stimolare testardamente l’attivazione di interventi sociali incisivi.
Responsabilità che richiede una visione larga di società e una consapevolezza che sappia protrarsi nel tempo, perché cambiare questo status quo, cioè questa diffusione di pratiche di sfruttamento, è possibile. In particolar modo per le ampie conoscenze acquisite sul fenomeno, dalla presenza attiva di diversi attori sociali impegnati in questa direzione e da significative fasce di politici – soprattutto donne – che ben conoscono questa problematica. Ma operando perlopiù in maniera frammentata e raramente in maniera unitaria l’impatto sul fenomeno che ne consegue risulta essere più debole di quello che potrebbe essere con una azione coesa e coordinata nel tempo. La continuità nell’impegno determina i presupposti per una politica capace di lungimiranza nella garanzia dei diritti e negli istituti di tutela che devono monitorarne l’implementazione. È questo che la politica dovrebbe impegnarsi a fare, e non solo le componenti femminili più attente e sensibili alla problematica, perché considerando la diffusione del fenomeno dello sfruttamento e grave sfruttamento femminile la politica appare del tutto assente. Sembra lontana da queste situazioni che incombono su Persone, e sottolineo Persone, che, sebbene invisibili, fanno parte del nostro quotidiano: si pensi alle lavoratrici domestiche o a quelle occupate in agricoltura oppure nell’industria turistica.
Queste donne non sembrano essere destinatarie della Carta dei diritti fondamentali ma nemmeno, per quanto riguarda l’Italia, dell’articolo 3 della Costituzione1. Non ne parliamo se leggiamo l’art. 2 del Trattato sull’Unione europea2. Un problema attuale che interessa il mondo femminile a qualsiasi latitudine, le cui condizioni sembrano ricalcate l’una sull’altra al netto delle differenze ravvisabili nella strutturazione nei diversi paesi nei quali risiedono. A riprova che questa tematica sociale, che tenacemente continuiamo a indagare e studiare, assume anche ampiezza internazionale, sono i dati e le informazioni più estese che propone l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) nel suo nuovo Rapporto su Lavoro forzato nel settore privato a livello internazionale, pubblicato il 19 marzo c.a. (proprio mentre portavamo a compimento questo nostro secondo Rapporto).
L’ Ilo3 denuncia, con questa sua pubblicazione, un aumento del 37% di profitti illegali derivanti da lavoro forzato nell’economia privata. Si tratta di 64 miliardi di dollari, circa diecimila dollari a vittima. Questo enorme profitto deriva inoltre dall’aumento delle persone che vengono sfruttate. Ne consegue, quindi, che il fenomeno del traffico di persone, dello sfruttamento e del grave sfruttamento sono aumentati nel mondo a fronte di una azione repressiva meno incisiva. Secondo l’Ilo, la maggior parte dei proventi illegali viene dallo sfruttamento sessuale. Gli altri contesti in cui il profitto illegale è alto si correla allo sfruttamento sul lavoro nell’industria, nei servizi, quindi nell’agricoltura e infine nel lavoro domestico. Si legge ancora che «i profitti illegali totali annuali derivanti dal lavoro forzato sono più alti in Europa e Asia centrale», a seguire vengono gli altri continenti. In aggiunta, prendendo a prestito le parole del Direttore generale dell’Ilo non possiamo che concordare amaramente che «il numero di procedimenti giudiziari per il reato di lavoro forzato resta molto basso. Questo significa che i colpevoli sono in grado di trarre profitto dalle loro azioni impunemente», e perpetuando il lavoro forzato non possono che rinforzarsi in parallelo i «cicli di povertà e dello sfruttamento colpendo al cuore la dignità umana. La comunità internazionale deve urgentemente agire per porre fine a questa situazione».
Si tratta allora di continuare a osare pungolando le Istituzioni nazionali, europee e internazionali perché incalzino la volontà politica ad affrontare questo dramma. I diritti non basta proclamarli e/o promuovere leggi che li tutelino, ma è altrettanto fondamentale fare scelte finanziarie proporzionate all’esigenze della loro attuazione affinché gli strumenti necessari all’azione siano adeguati e sempre più avanzati per la prevenzione, per il contrasto e ancor più per la tutela e il risarcimento delle vittime. Questa questione che unisce sulla pelle delle donne sfruttamento e violenza richiama alla mente l’ideologia patriarcale di cui si è molto discusso nei mesi scorsi, fortunatamente ancor oggi, a seguito dei tanti femminicidi avvenuti nel nostro paese facendo emergere il sentimento maschilista presente nei nostri comportamenti sociali, politici, umani e religiosi.
Come scrivevano nel loro articolo nel Rapporto 2022 Maria Grazia Giammarinaro e Letizia Palumbo, «l’ideologia e la pratica del dominio patriarcale provoca e al tempo stesso giustifica lo sfruttamento delle vulnerabilità non solo delle donne ma anche delle persone Lgbtqi+, che può essere sfruttamento sessuale o sfruttamento lavorativo accompagnato in contemporanea da forme di molestie e violenze sessuali»4.
Contrastare questa ideologia, con i mezzi a disposizione, è l’obiettivo di fondo del Rapporto, poiché giustificare lo sfruttamento di donne diventa un esplicito concetto di superiorità e uno scarico di responsabilità collettiva che produce a sua volta indifferenza personale.
È su questa indifferenza che bisogna lavorare culturalmente e politicamente!
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4 M.G. Giammarinaro, L. Palumbo, Vulnerabilità attraverso la lente dell’intersezionalità, nella normativa e nella giurisprudenza europee e italiane, in Slaves No More, Donne gravemente sfruttate. Il diritto di essere protagoniste, Rapporto 2022, p. 33.

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