“Mi chiamo Alice,
ho 27 anni,
e domani mi sposo.
Mi trema il cuore dalla felicità. Sento tutte le farfalle nello stomaco, di tutto il mondo, tutte dentro. Sposo Luigi, l’amore della mia vita, l’amore che arriva e ti ci butti dentro. Ed è bellissimo.
Mi chiamo Alice,
ho 30 anni,
e sono incinta.
Ho la nausea alla mattina, appena mi metto seduta sul letto dopo aver aperto gli occhi. (…) Luigi dice che sono bellissima, io mica gli credo, sono ingrassata di dieci chili, ma mi faccio coccolare lo stesso.
Mi chiamo Alice,
ho 31 anni,
e da qualche mese stringo fra le braccia Francesco. È buono Francesco.
E sa di latte dappertutto, sui capelli, manine, piedini.
Mi commuovo per ogni cosa. Luigi, no.
Luigi alza la voce. “Fallo smettere di piangere, Cristo.”
Ieri gli è scappata una mano sulla mia faccia. L’ho perdonato subito.
È stanco. Questa paternità lo trova impreparato.
Mi chiamo Alice,
ho 32 anni,
e oggi guardandomi allo specchio ho notato un livido sul braccio destro, uno su uno zigomo, e uno vicino al labbro.
Ora mi trucco per bene e sparisce tutto.
Mi chiamo Alice,
ho 33 anni,
e stasera sono finita al pronto soccorso. Tre costole rotte. Luigi mi ha dato un calcio su un fianco. Ma non è colpa sua. Non è colpa sua. Lui è così stanco, ed io così distratta che sono caduta in cucina, mentre gli portavo in tavola il piatto e le posate. “Mio marito ha provato ad aiutarmi a rialzarmi, invece mi è caduto addosso”, così ho detto in ospedale. “Sicura?” “Sicura”, ho risposto piano, col dolore che mi tagliava il respiro.
Mi chiamo Alice,
ho 35 anni,
e, stamattina, Luigi mi ha ficcato un coltello in gola. Ho sentito la lama entrare nella carne. Per qualche secondo ho trattenuto il fiato, e ho pensato “ma sta capitando a me? per davvero sta capitando a me?”.
Sono morta dopo qualche ora. Senza più sangue.
Mi chiamo Alice, e, ora, sono nuvola, e pioggia, e terra, e mare.
E respiro di madre su tutti gli orfani di questo mondo.”